La crisi e il sonnambulo

Schermata 03-2458570 alle 17.02.50[di Cecilia Erba per CDCA] “Stiamo camminando come sonnambuli verso una crisi?”. Con questa domanda inizia l’edizione 2019 dell’annuale Rapporto sui Rischi Globali, redatto dal Forum Economico Mondiale (World Economic Forum – WEF). Il rapporto viene sviluppato sulla base di una indagine sulla percezione dei rischi di circa 1000 decisori del settore pubblico, privato, accademico e della società civile, rischi che “si stanno intensificando, ma non sembra esserci volontà collettiva di affrontarli”.

La top five dei rischi sia in termini di probabilità che in termini di impatto è dominata, ormai da quasi dieci anni, da fenomeni legati all’ambiente e al clima, dalla perdita di biodiversità, agli eventi meteorologici estremi, passando per catastrofi naturali, crisi del sistema idrico, ma anche fallimento delle politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Queste vulnerabilità sono chiaramente strettamente collegate ad altri possibili fenomeni sociali, economici e geopolitici, come la crisi alimentare, la diffusione rapida di malattie infettive, i gravi shock dei prezzi energetici, i conflitti tra Stati, l’aumento delle disuguaglianze.

Ogni aspetto della nostra vita in realtà potrebbe potenzialmente essere influenzato dalla crisi ambientale e climatica.

Non sorprende che queste preoccupazioni siano in cima alla lista, visto il tragico bilancio del 2018:

Dagli incendi che hanno distrutto la California e la Grecia, agli uragani che hanno imperversato sulle coste statunitensi, delle filippine e delle Hawaii, l’ondata di calore in Pakistan, fino alle inondazioni in Corea del Nord, Nigeria, Giappone e India, l’ultimo anno ha reso evidente che non siamo più sull’orlo di una crisi climatica, ormai ci siamo entrati dentro.

Dall’altro lato, il mondo sembra essere “fuori controllo”, come recita l’azzeccato sottotitolo del rapporto di quest’anno:

Perseguire obiettivi comuni diventa sempre più complicato nell’attuale scenario di frammentazione del panorama internazionale e della società civile, accompagnata dall’ascesa di forze politiche estremiste e populiste. L’indebolimento del multilateralismo e degli accordi internazionali, in favore della cieca rivendicazione di quelle che vengono percepite come priorità per lo Stato, rende sempre più difficile affrontare in maniera coordinata ed efficace sfide che necessitano di una risposta globale, come quella del cambiamento climatico.

Il clima continua infatti a scivolare sempre più in basso nelle agende nazionali, a partire da quella americana, con il Presidente Trump, che deride l’argomento (notevole il tweet durante l’ondata di gelo negli Stati Uniti dello scorso gennaio, “Ci vorrebbe un po’ del caro, vecchio riscaldamento globale”) e rilancia l’industria dei combustibili fossili, o nel Brasile di Bolsonaro, che ha definito il cambiamento climatico “un complotto marxista per reprimere la crescita economica nei Paesi capitalisti democratici e favorire la Cina”. Né va tanto meglio in Italia, tra l’attacco agli “ambientalisti da salotto” di Salvini, dopo i grossi danni inferti dal maltempo nel bellunese, e il negazionismo climatico del Movimento Cinque Stelle.

E così continuiamo a camminare dentro la crisi, invece che cercare di uscirne.

Tuttavia, tutt’altro che sonnambuli erano il milione di giovani dei 112 Paesi che hanno preso parte, lo scorso 15 marzo, allo sciopero globale per il clima, rispondendo all’appello di Greta Thunberg, la quindicenne svedese che a partire dall’agosto del 2018, ogni venerdì ha saltato la scuola per scioperare di fronte al Parlamento, e del movimento giovanile internazionale che è nato da questa protesta, il #FridaysForFuture.

Ed erano ben sveglie le oltre 100.000 persone che il 23 marzo sono scese in piazza in Italia sull’onda di questo movimento, per continuare a chiedere politiche di taglio delle emissioni e di stop alle grandi opere inquinanti come la TAV, la TAP, e molte altre.

Esiste quindi una fascia di società che è ben cosciente dei rischi a cui stiamo andando incontro e dell’urgenza di invertire la rotta.

Davanti all’evidenza delle conseguenze dell’inazione dei governi, si cercano nuove vie di mobilitazione e pressione, come la giustizia climatica. All’indifferenza e all’arroganza delle classi politiche, risponde un movimento multiforme e multicolore, internazionale e intergenerazionale, che unisce le rivendicazioni climatiche alla difesa dei diritti umani e la lotta alle disuguaglianze alla domanda di democrazia.